Inizia l’avventura. Di solito su questi treni ci vado vestita come quelli che ho intorno, pronta per incontrare qualcuno per lavoro a Roma o Milano. Invece oggi con tuta, scarpe da ginnastica e zaino in spalla, mi sento già lontana. Ho un leggero mal di testa. Sarà l’emozione. Faccio fatica ad inquadrare questa avventura. Nuova in tutti i sensi. Mai stata in India, mai stata in una missione. Era tanto che nella mia testa batteva questo desiderio e ora eccolo qui. Arrivato forse per merito. Andiamo. Frecciarossa corre veloce verso Roma. Da Milano, Cagliari e Francavilla i miei colleghi e compagni di viaggio stanno raggiungendo come me l’aeroporto.
Andiamo.
In arrivo a Fiumicino. Ansia emozione e fame. Si va al terminal3 . Siamo tutti emozionati. Decollo.
Dubai. Opulenza. Ricchezza. Oro sprecato. Troppo di tutto in questo aeroporto. Stona con il mio zaino in spalla. Con il mio spirito. Con la voglia che ho di vedere un mondo diverso.
Aereo per l’India. Le turbolenze mi impediscono di dormire almeno un pochino. Altro film. E si atterra. Stanchezza, bisogno estremo di caffè. Il primo scarafaggio nel bagno dell’aeroporto mi dice che non siamo in un aeroporto qualunque. Welcome India.
Senza sosta, in rapida successione come fosse passato un attimo dalla partenza a Roma, conosciamo Lele e Fabio, rispettivamente vicepresidente di Namastè e infermiere in missione, da un mese qui. Fabio sarà un prezioso compagno di viaggio per i prossimi 3 giorni a Trivandrum.
Partiamo nel nostro pullmino alla volta del mare. Niente costume, bellezza. Andiamo a visitare l’asilo di Pozhiyoor. Accoglienza con collane di fiori, the al latte in un stanzino piccolo piccolo. E tutti i bimbi felici, sorrisi regalati, innocenza stupenda che dona energia. I tagli degli occhi di queste bimbe sono fantastici. E la maestra usa il metodo Montessori.
Fantastico, il mondo è bello. Parlo un’ora in viaggio di ritorno con la maestra, confidenze e scambio di visione delle foto dei figli sul cellulare. Il mondo è uguale al mio. Niente di strano in questa India. Troppo presto per dirlo, invece.
Conoscere Alakananda e la sua storia è stato come svegliarmi con uno schiaffo in faccia, per la prima volta, dopo qualche ora dall’arrivo. Una bambina con macrocefalia e una madre picchiata dal marito, bellissima e col sorriso che non lascia mai. Abbracciata la sua bimba con la fatica che non si vede assolutamente, nel curare una creatura così fragile, eppure così bella. Una casa che non è una casa, con pavimenti impolverati e nelle stanzette un letto di fortuna. Le sue protesi nuove non le ha potute ordinare perché non ha i soldi. Chiediamo quanto costano, €25. Mi sento male, mi vengono le lacrime agli occhi, non posso trattenere la rabbia che ho dentro nel pensare a quanto sia incredibilmente diverso il mio mondo. €25 per far camminare una bambina di 5 anni. Alzo la mano, mi impongo, voglio aiutarvi, a te e a tua madre. Lo so, sei la prima bimba bisognosa che vedo qui in India, ma sento che devo farlo, posso farlo e non mi costerà nulla farlo.
Passiamo in rassegna altri casi, tutti però mi trasmettono la grandissima dignità di queste persone, anche se il loro modo di vivere è veramente assurdo. Dopo essere passati da una casa molto carina in mezzo alla foresta e visto altre situazioni difficilissime, ecco che gli ultimi due casi del giorno mi fanno vedere come gli uomini possono vivere alla stregua di animali. La condizione sanitaria è ai minimi livelli per un essere umano. I loculi, perché non si può parlare di case, dove passano le loro giornate, sarebbero quasi troppo poco per degli animali. Ma loro, le persone intendo, continuano a sorridere e a pensare che quello che devono fare è andare avanti, aiutati da chissà che forza. Vorrei anch’io quella forza.
Sono stanca, sono oltre 24 ore che non dormo e devo dire che non riesco neanche tanto bene a ragionare, quindi metto in tasca tutte queste emozioni enormi di una giornata che mi sembra durata una settimana, per quanto è stata intensa. Devo chiudere gli occhi la mia mente deve dormire.
Mi sono svegliata dopo 9 ore di sonno, che ci volevano, considerato viaggio e giornata di ieri. Mi sembra stranissimo essere qui in questa stanzetta, con mille animali fuori che fanno casino e auto che suonano, che sembra di avere fuori una autostrada, mentre in realtà non c’è più di una stradina in collina. In camera ho 2 gechi. Fuori dalla stanza sento anche le voci dei due bimbetti, Jasmin ed Ebi, figli dei due Indiani che sono qui a Namaste. Bimbi bellissimi e dolcissimi. Ah, qui non siamo in Tamil Nadu ma in Kerala (lo stato dei Marò) che è, mi dicono, uno di quelli con la situazione migliore. Domani 3 ore di auto per il Tamil Nadu, nella punta dell’India, davanti allo Sri Lanka. Andremo a inaugurare un nuovo centro medico e poi forse un passaggio in una città sacra, sempre sul mare, dove hanno sparso le ceneri di Gandhi. Faccio fatica a trovare caffè, qui bevono e offrono un the con latte che non è male quindi mi adatto.
Oggi a pranzo Agi ci ha insegnato due tecniche per mangiare con le mani: pollice e polpetta. Possiamo imparare anche noi!
E nel pomeriggio altri casi, dal ragazzino cardiopatico in attesa del quinto intervento, fino al diciottenne con diabete e problemi renali, che vive in un posto dov’è il pavimento è fatto con sterco di vacca. Il mio impulso in questi momenti sarebbe quello di urlare, alzarmi, gridare, fare qualcosa, purché questo cambi. Guardo la cucina, che non è una cucina, ma è un pattume a cielo aperto. Assurdo, impressionante poi penso anche che loro sorridono e non stanno male come potrei sentirmi io in quelle condizioni. È la loro cultura, il loro modo di vivere, è l’unico che conoscono.
Poi le case famiglia, dove altri ragazzini sorridono e educatissimi stanno zitti, molto più di qualsiasi gruppo di bambini occidentali. Prendono i nostri regali, matite e maglie, come un dono grande. Altra cena, domani sarà un altro giorno importante. Ci dicono che vedremo un posto molto più povero e io che credevo di aver visto ieri oggi la vera povertà.
Tutto vero. Il villaggio dove abbiamo avuto l’onore di inaugurare il dispensario farmaceutico è ai limiti della civiltà umana, almeno per come la conosciamo noi. Ragazzi che pescano in pozze d’acqua che non hanno nulla di sano, stoviglie per terra, fuochi per strada per bruciare ciò che non serve. Gente che vuole foto con noi occidentali, ci guardano straniti. Forse come noi guardiamo loro. Mentre fanno visite improbabili dal dentista. Ho filmato la dispensazione delle medicine da parte della farmacista. Un metodo che non ha nulla a che fare con noi. Ma che la dottoressa svolge con la stessa nostra professionalità. Uno sguardo alla ricetta, un taglio al blister del farmaco, una manciata di altre pastiglie da un contenitore ed ecco fatto.
Tante ore in pullmino, fra paesi e campagne ci conducono alla punta estremo sud dell’India. Incrocio sacro fra oceano indiano, mar arabico e mar bengalese. Turisti, colori della frutta fresca venduta su mille banchetti. Odore di mare. Finalmente. Quanto ti mancano le cose semplici quando non le hai….e quanto le apprezzi quando le ritrovi. Passare dalle baracche della foresta alla sconfinata libertà del mare è bello. Una visita al tempio Indù, dove si paga anche l’olio sacro per una sorta di cerimonia di auto-benedizione. Scalzi. Oddio non mi piace per nulla.
Si torna da Ludovica. Mi dispiace che non abbia vissuto con noi questa lunghissima giornata, comprensiva di 7 ore abbondanti in auto a scansare autobus e superare all’indiana, sconsigliatissimo per stomaci deboli, quello di Ludo ad esempio. Di nuovo alla missione, non senza un passaggio a salutare la famiglia di Rama, il capo di Namaste. The con latte, pudding e banane, platano fritto.
Stanchezza assoluta. Ma la festa Indù non ci lascia scampo e ci sveglia alle 4 del mattino. È lunedì. Ultimo giorno.
Intenso come non mai. I 4 ultimi casi: foreste, capanne senza acqua potabile. Povertà e dignità assolute.
Non è possibile vivere così ma non posso spiegarlo con le parole. Vi dovete sedere sul letto dove mi sono appoggiata io per capire. Era l’ultimo caso, una ragazza di 20 anni con un lupus sistemico. Padre alcolizzato, madre che sta vicina alla figlia con un affetto incredibile ma senza poter offrire nulla. Vivono in condizioni che noi definiremmo schifose persino per una baracca degli attrezzi. Nessuna igiene. Non riesco ad arrivare a capire come facciano a stare qui dentro. Ah, i letti non sono che assi di legno con teli stesi sopra. Materassi? Ne ho visto uno solo in questi giorni, tenuto come oggetto sacro, ancora nel cellophane.
Oggi ho capito che non riuscirò a raccontare cosa ho vissuto in questi giorni. Ma credo una esperienza come la nostra dovrebbero farla tutti, da chi si lamenta perché ha lo smalto sbeccato, a chi non ha avuto tempo di andare in palestra. Un volo per l’India a chi è stressato, a chi piange miseria solo perché non ha abbastanza soldi per comprare l’iphone nuovo. Auguro un viaggio così a chi non sorride, a chi si sveglia e non guarda il cielo. A chi pensa che la vera ricchezza siano le belle auto. A chi si fermerebbe a Dubai a vedere il mondo dorato, a chi non sa proprio cosa voglia dire sentirsi una nullità sedendosi su quel letto nella baracca. A chi protesta in farmacia perché deve pagare 50centesimi di ticket per un farmaco. Tornando vedrò il mondo con occhi diversi, perché ho dentro sentimenti ed emozioni completamente nuove.
Entrare nella baracca e respirare la povertà o camminare su sterco di vacca che fa da pavimento a quella che chi ci abita chiama casa: queste cose non puoi spiegarle. Devi viverle.
Andate in quella baracca, sedetevi su quel giaciglio, guardate in faccia chi ci vive. Poi ne riparliamo.
Thiruvananthapuram-Dubai (odio tutto quel lusso, oggi più che mai)-Roma-Bologna. Eccoci. Saluto i miei amici, ciao grande Enrico, ciao dolce Federico, ciao carissima Ludovica. I compagni di viaggio migliori che potessi trovare. Anche questa una grande fortuna.
Si ricomincia. Si cammina sul parquet. Il soffitto non è di amianto. I miei bambini si lamenteranno perché vorrebbero giocare ancora all’ipad. Mentre negli occhi porterò per tanto tempo il sorriso di quei piccoletti delle baracche.
Si va avanti, certo, con la consapevolezza che dopo che hai visto quelle cose non torni più indietro. Ma anzi vai avanti con più forza. Con la determinazione di quelle povere persone. Lo fai per loro oltre che per te.
Grazie,”Nani” India.
Elena Penazzi